In passato, le teorie psicodinamiche classiche hanno enfatizzato molto le conseguenze della separazione dovute alla assenza di una figura genitoriale, di solito il padre, come fonte di stress e manifestazioni sintomatiche.
In base ad un’ottica strategica tuttavia si può affermare che, sebbene la disgregazione della famiglia rappresenti un momento di profondo stress, il vissuto di perdita può essere contenuto attraverso il mantenimento dei legami con entrambi i genitori e con una gestione funzionale della conflittualità; probabilmente il figlio di coppie divorziate o separate che gestiscono in modo sereno la bi-genitorialità avrà maggiori vantaggi dalla propria situazione familiare, rispetto ai figli di coppie che, pur convivendo , mantengono elevati livelli di aggressività latente. L’ottica deve essere allargata, non solo alla crisi familiare, ma anche alle relazioni, alle risorse e a tutta la rete interpersonale che caratterizza la famiglia.
Talvolta però le relazioni parentali risultano così carenti che il bambino, di fronte alla separazione, vive una situazione drammatica di crisi profonda, spesso permeata da senso di colpa, rabbia più o meno espressa, incertezza.
Il senso di colpa è tipico dell’età infantile ed è legato all’ansia circa la perdita degli oggetti d’amore primari; durante il primo processo di separazione/individuazione, il bambino desidera allontanarsi dalle figure di attaccamento e tende all’opposizione e al rifiuto: questo periodo famoso come “fase del no” ingenera prime forme di conflitto familiare e, sia i bambini che genitori, possono manifestare rabbia reciproca: il bambino che ha desiderato la separazione dai genitori può sentirsi responsabile dell’uscita di casa di un genitore, erroneamente attribuita ai propri comportamenti oppositivi.
L’allontanamento da casa di un genitore inoltre, può essere vissuto al contempo come un abbandono e quindi può ingenerare rabbia o angoscia. Spesso questi vissuti sono accentuati dalle reazioni emotive del genitore convivente, che può provare gli stessi sentimenti ed entrare in risonanza emotiva col figlio, dando origine a dinamiche particolari.
Non è infrequente che i figli, dopo la separazione dei genitori si schierino con un genitore percepito come debole, rifiutando o manifestando rabbia verso l’altro. Questi atteggiamenti ostili, se non vengono contenuti ma favoriti, implicitamente o esplicitamente, dal genitore convivente, possono portare all’Alienazione Parentale.

3.3 Sindrome da Alienazione Parentale

Il costrutto di PAS (Parental Alienation Syndrom) è stato introdotto da Gardner e riguarda il profondo rifiuto, manifestato da uno o più figli nei confronti di un genitore, non giustificato da motivi gravi o pertinenti.
Sebbene non sia incluso negli attuali manuali di psicopatologia o psichiatria internazionali e quindi non abbia una valenza diagnostica, il costrutto di PAS ha un riscontro nel lavoro clinico degli operatori che intervengono in contesto di divorzio e separazione.
Gardner (in Patrizi, 2012) ha ipotizzato che un genitore, generalmente la madre, sia “programmante”, cioè colluda con i naturali sentimenti di rabbia, rinforzando i comportamenti di rifiuto del minore, talvolta in modo implicito.
In genere il genitore programmante ha una personalità dipendente e immatura che instaura con il figlio rapporti simbiotici e genitorializzanti, invece di spingerlo all’autonomia (Malagoli Togliatti, Ardone, 1992; in Patrizi, 2012). Con il tempo, tali comportamenti inficiano non solo la serenità del bambino, ma anche o sviluppo armonico della sua personalità.
Per contro, anche nel genitore alienato si riscontrano caratteristiche peculiari: coloro che mostrano difficoltà interpersonali o superficialità nella relazione, o che appaiono incapaci fornire supporto psicologico, sembrano più predisposti ad essere alienati.
Recentemente, l’esperienza maturata in ambito giuridico rende i periti più propensi ad affidare i minori a genitori collaborativi nei confronti dell’altro coniuge, in quanto più consapevoli dei bisogni di conservazione del legame bigenitoriale dei figli; il mediatore che si trovi di fronte a casi di alienazione è tenuto a considerare prioritari i bisogni del minore, anche interrompendo il processo ed inviando la coppia; altrimenti , nei casi lievi, può suggerire opzioni che tengano conto delle necesssità rilevate e riprogrammino la coppia.
In realtà, una conflittualità genitore-figlio è quasi sempre presente, in particolare nelle separazioni giudiziali e appare fisiologica, se lieve e transitoria: essa permette al bambino di esteriorizzare sentimenti ostili che necessitano di essere accolti e contenuti. In questi casi l’ascolto del minore appare fondamentale per fugare dubbi circa la patologia di tali dinamiche e per tutelarne il benessere.