"L'approccio strategico nell'ambito della psicoterapia può essere definito come l'arte di risolvere complicati problemi umani mediante soluzioni apparentemente semplici" G. Nardone

Categoria: psicoterapia (Pagina 5 di 7)

Comunicare in modo efficace

Il sentiero della nonviolenza richiede molto più coraggio di quello della violenza.
(Mahatma Gandhi)

Chi volesse cimentarsi a stupire i propri famigliari con la saggezza delle parole o a risolvere vecchie ruggini può seguire i 4 passi della comunicazione non violenta e trovare reazioni sorprendenti negli altri.
Ideata da Rosenberg negli anni ’60, si fonda sulla capacità , da parte di chi parla, di far appello ad emozioni e bisogni per comprendere l’interlocutore e raggiungere il proprio obiettivo comunicativo.
Ogni persona che interagisce ha uno scopo: gli scopi possono essere variegati, ma tutti partono da una emozione che si manifesta con un bisogno.
Il bambino che piange, l’automobilista che suona il clacson, la moglie che brontola hanno tutti una richiesta da fare: se si riesce a comprendere questa richiesta si può prevenire un litigio.

Il primo passo è sicuramente osservare; capire cosa sta facendo l’altra persona è importantissimo per poter comprendere cosa la spinge a farlo. Le neomamme ad esempio sono abilissime nell’osservare il piano dei propri neonati; fame, sonno freddo,  malessere; le mamme riescono ad osservare la situazione e a capire il  motivo del pianto, perché sanno che il proprio figlio non sa parlare  e non può chiedere, se non comunicando una emozione.

L’osservazione efficace è libera dalla valutazione e dal giudizio, essa porta alla comprensione dei bisogni, delle emozioni, dei sentimenti, sia  propri che altrui. Comprendere cosa accade in noi quando siamo infastiditi o capire cosa spinge le persone intorno a noi ad essere petulanti, lagnosi, brontoloni, può rendere più sopportabile i loro comportamenti e perfino modificarli velocemente, spesso è sufficiente riconoscere al prossimo il diritto di essere arrabbiato, infastidito, geloso, o di provare una emozione per avere subito una apertura al dialogo.

Ci sono occasioni però in cui non si è in grado di verbalizzare i bisogni, neanche nella vita adulta, ed è allora necessario che, chi ci sta intorno, sappia osservare il comportamento e la situazione in cui si manifesta, per poterci aiutare. Certe volte siamo noi ad essere chiamati a fare il primo passo verso gli altri. Chi possiede le chiavi della comunicazione empatica, sa cambiare una serata storta, di sollevare qualcuno da un fardello, di donare il sorriso.

Prendersi la responsabilità di ciò che si prova è un ulteriore cambiamento nella relazione: gli altri possono stimolare alcune reazioni, ma siamo sempre noi a controllare come reagire: di fronte ad uno stesso insulto, le persone hanno moltissime sfumature di comportamenti, dalla aggressione alla autocolpevolizzazione.

Al di là dell’azione finale, si possono leggere i comportamenti degli altri in quattro modi: incolpare gli altri, incolpare sé stessi, percepire i propri sentimenti e le proprie emozioni, percepire i sentimenti e  i sentimenti degli altri.

Ogni persona è responsabile di come reagisce: più si comprendono le proprie emozioni, più si può essere efficaci nel chiedere aiuto e nel dire di cosa si ha bisogno, e più è probabile essere soddisfatti.

Non sempre si verrà soddisfatti: talvolta le persone avranno bisogno di tempo per abituarsi ad un modo di comunicare rispettoso e non essere spiazzati dall’onestà, talvolta le necessità personali possono essere inconciliabili, ma si potrà comunque evitare l’amarezza dovuta all’incomprensione e alla reciproca accusa.

Comunicare in modo efficace è un allenamento, una abilità da affinare continuamente.

PAS




Il costrutto di PAS (Parental Alienation Syndrom) è stato introdotto da Gardner e riguarda il
profondo rifiuto, manifestato da uno o più figli nei confronti di un genitore, non giustificato da
motivi gravi o pertinenti.
Sebbene non sia incluso negli attuali manuali di psicopatologia o psichiatria internazionali e quindi non abbia una valenza diagnostica, il costrutto di PAS ha un riscontro nel lavoro clinico degli operatori che intervengono in contesto di divorzio e separazione.
Gardner (in Patrizi, 2012) ha ipotizzato che un genitore, generalmente la madre, sia  “programmante”, cioè colluda con i naturali sentimenti di rabbia, rinforzando i comportamenti di rifiuto del minore, talvolta in modo implicito.
In genere il genitore programmante ha una personalità dipendente e immatura che instaura con il figlio rapporti simbiotici e genitorializzanti, invece di spingerlo all’autonomia (Malagoli Togliatti,
Ardone, 1992; in Patrizi, 2012). Con il tempo, tali comportamenti inficiano non solo la serenità del bambino, ma anche o sviluppo armonico della sua personalità.
Per contro, anche nel genitore alienato si riscontrano caratteristiche peculiari: coloro che mostrano difficoltà interpersonali o superficialità nella relazione, o che appaiono incapaci fornire supporto psicologico, sembrano più predisposti ad essere alienati.
Recentemente, l’esperienza maturata in ambito giuridico rende i periti più propensi ad affidare i minori a genitori collaborativi nei confronti dell’altro coniuge, in quanto più consapevoli dei bisogni di conservazione del legame bigenitoriale dei figli; il mediatore che si trovi di fronte a casi di alienazione è tenuto a considerare prioritari i bisogni del minore, anche interrompendo il processo ed inviando la coppia; altrimenti , nei casi lievi, può suggerire opzioni che tengano conto delle necesssità rilevate e riprogrammino la coppia.

In realtà, una conflittualità genitore-figlio è quasi sempre presente, in particolare nelle separazioni giudiziali e appare fisiologica, se lieve e transitoria: essa permette al bambino di esteriorizzare sentimenti ostili che necessitano di essere accolti e contenuti. A tale scopo, l’ascolto del minore appare fondamentale per fugare dubbi circa la patologia di tali dinamiche e per tutelarne il benessere.

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