"L'approccio strategico nell'ambito della psicoterapia può essere definito come l'arte di risolvere complicati problemi umani mediante soluzioni apparentemente semplici" G. Nardone

Categoria: psicologia (Pagina 2 di 4)

Difficoltà a scuola

Il percorso scolastico de fanciullo è un processo importante per un sano sviluppo della persona. Nonostante il bambino piccolo si approcci sempre in modo entusiastico al sapere dei “grandi” , l’iter scolastico non è sempre semplice , anzi, capita molto frequentemente che la serenità scolastica sia inficiata da problemi di socializzazione, di relazione, acquisizione regole e di apprendimento.

Per molti bambini le difficoltà sono transitorie perché legate a quella fisiologica maturazione di abilità; la scuola, rispetto alla vita famigliare, rappresenta un ambiente nuovo, con regole di comportamento rigide e non utilizzate a casa, ma necessarie per il mantenimento della serenità del gruppo classe. Il rispetto degli orari didattici, dei turni di conversazione , di condivisione degli spazi e degli affetti rappresentano insieme una difficoltà ma anche una occasione preziosa di crescita.

Senza delle calibrate difficoltà infatti non sarebbe possibile evolversi: Vigotskij sosteneva ad esempio che l’apprendimento , sia sociale che cognitivo, avviene all’interno di una Area di Sviluppo Prossimale. Ciò significa che per imparare qualcosa devo uscire allontanarmi un poco da ciò che conosco e so fare, per sperimentare cose nuove. Come avviene per altri contesti di vita, il disagio sarà tanto maggiore quanto più mi allontano dalle mie sicurezze di base.

Cosa succede però quando il disagio è molto forte?

Se le pressioni scolastiche sono molto forti e distanti dal saper essere e dal saper fare del fanciullo, si possono instaurare comportamenti di esternazione del disagio. Per facilitare l’ingresso del bambino nella scuola è opportuno lavorare in modo coeso e coerente con l’Istituto scolastico, comunicando tempestivamente l’insorgere di sintomi o difficoltà, oppure riflettendo insieme sulla presenza di comportamenti inidonei: la scuola e la famiglia sono due agenzie educative fondamentali per la crescita sana di un fanciullo e , seppure con differenze pedagogiche, beneficiano entrambe del reciproco sostegno.

Difficoltà relazionali

Le relazioni si presentano con miriadi di sfumature, collocandosi su un continuum tra introversione ed aggressività.

Disturbi caratterizzati da introversione.

Alcuni bambini soffrono di una estrema timidezza che si esplica, nei casi più gravi con:

Mutismo selettivo: rende il bambino incapace di parlare in classe o rispondere agli insegnanti.

Isolamento sociale: denota una difficoltà nell’instaurare relazioni soddisfacenti con i coetanei. Il bambino appare eccessivamente tranquillo e silenzioso, non gioca con gli altri e preferisce attività individuali

Fobia della scuola: l’andare a scuola costituisce un momento di profonda ansia con sintomi vegetativi come mal di pancia o mal di testa,  che possono raggiungere , nei casi più gravi, anche l’intensità di un attacco di panico. Questi sintomi si manifestano in assenza di un valido motivo scatenante.

Disturbi caratterizzati da mancato controllo del comportamento:

sono presenti comportamenti evidenti in più di un contesto che riguarda violazione delle regole, negativismo, difficoltà nei rapporti con coetanei e adulti in  modo più  marcato e frequente rispetto ai coetanei, tale da compromettere il funzionamento sociale e scolastico.​  Questi bambini mostrano difficoltà  marcate nell’accettare le regole: il percorso scolastico è quindi segnato da richiami frequenti, note, colloquio scuola-famiglia. In base alla intensità o alla direzione dell’aggressività troviamo:

Disturbo da deficit dell’attenzione: riguarda una marcata e persistente difficoltà nel focalizzare l’attenzione su un compito in modo continuativa per tutta la durata, evitando interferenze, in modo statisticamente al di sotto di quanto atteso per età e livello di sviluppo cognitivo. Ciò impedisce al bambino di prestare attenzione a compiti, discorsi, spiegazioni, inoltre in molti casi si aggiunge l’iperattività  che inficia la capacità di rimanere seduti o di aspettare la fine di un turno di conversazione per parlare.

Condotte oppositive e provocatorie: il bambino viola deliberatamente le regole scolastiche, mostra risposte inadeguate al contesto, si rifiuta ad esempio di seguire le indicazioni degli insegnanti o disturba la lezione con comportamenti inidonei. Questi atteggiamenti possono avere molteplici cause, in genere quando questo avviene in classe, tali alunni non riescono a cessare il proprio comportamento,  nonostante i buoni consigli e i buoni propositi declamati in un atti di pentimento;  l’atteggiamento provocatorio si ripresenta continuamente, apparentemente nessuna punizione, nota o dialogo è in grado di modificarlo. Il bambino in questi casi riveste un doppio ruolo all’interno del gruppo classe: da una parte è coraggioso perché sa sfidare gli adulti senza paura, dall’altro però viene additato come responsabile di tutte le problematiche occorrenti.

L’atteggiamento provocatorio è tanto più grave quanto più sono lesivi o pervasivi gli atti. Un bambino provocatorio può estendere tale atteggiamenti a tutti i contesti della vita, perdendo così molto del benessere e delle occasioni di socialità: preso dal dire “no”, non riesce a seguire le attività scolastiche, sportive o ludiche, perdendo così possibili amicizie. In alcuni casi l’aggressività può essere così grave da costituire veri e propri reati civili o penali; diventa così urgente una presa in carico specialistica  del bambino e della famiglia.

Bullismo: questa condotta è caratterizzata da un ripetuto comportamento di aggressione fisica o verbale verso un compagno senza una vera e seria motivazione. Tali comportamenti possono variare dal semplice escludere un compagno da giochi, posti, gruppi o giochi, fino alla coercizione fisica,  violenza verbale, ingiuria o calunnia diretta o tramite social network. E’ un fenomeno grave che coinvolge spesso un intero gruppo di coetanei e necessita di un rapido intervento per fermare sul nascere episodi di devianza legalmente perseguibili. IL bullismo viene spesso perpetrato nell’omertà; per questo risulta difficile per gli educatori, genitori o insegnanti, rilevare la gravità di un problema. Molto importante è quindi l’osservazione delle dinamiche del gruppo classe.

Difficoltà nell’apprendimento

tali disturbi rappresentano tra il 5 e il 30% della popolazione scolastica;  queste difficoltà possono essere nascoste all’insegnante, “camuffando” le difficoltà con la pigrizia.

i principali disturbi riportati nel DSM IV sono

315.00 DISTURBO DELLA LETTURA
315.1  DISTURBO DEL CALCOLO
315.2 DISTURBO DELL’ESPRESSIONE SCRITTA
315.9 DISTURBO DELL’APPRENDIMENTO nas
di comunicazione:
315.31 DISTURBO DELL’ESPRESSIONE DEL LINGUAGGIO (ma anche nella ricezione del linguaggio)
315.39 DISTURBO DELLA FONAZIONE
307.0 BALBUZIE
o delle capacità motorie:
315.3 DISTURBO DELLA COORDINAZIONE

Problemi di apprendimento :
sono prestazioni  di correttezza o rapidità nella lettura,nel calcolo o nella espressione scritta, misurate con test standardizzati,​ SOSTANZIALMENTE AL DI SOTTO ​ del livello atteso per età e livello scolastico.

Problemi di comunicazione:
riguardano problemi nella comprensione, produzione rappresentazione e organizzazione  dei suoni.
Sono di solito evidenti in fasi di sviluppo pre-scolare​ generalmente i primi “sintomi” vengono notati a tre anni, mentre a quattro anni vengono effettuate le prime diagnosi.​ In alcuni casi, il ritardo nella diagnosi e quindi nel trattamento, permane fino all’ingresso nella scuola primaria, con conseguente appesantimento dovuto alle nuove competenze richieste​.

Problemi di coordinazione (prassie):
sono difficoltà di esecuzione di movimenti grossolani o fini tipiche delle varie fasi di sviluppo del livello atteso per età e livello scolastico.​ Rendono difficoltosi gli apprendimenti scolastici e non sono dovuti a disturbi di altra natura (danni cerebrali, distrofia muscolare…)

Non tutti i problemi di apprendimento o comportamento però arrivano alla diagnosi, né rientrano nei disturbi.
Tali comportamenti recano comunque  disturbo alla vita della classe e può risultare incomprensibile all’adulto il motivo del persistere di un comportamento disturbante. ​ In realtà i bambini hanno un repertorio comportamentale ridotto e probabilmente mettono in atto l’unico atteggiamento che ritengono utile in condizione di disagio: un approccio di lavoro psicologico con i bambini consiste nella elaborazione di strategie comportamentali per esprimere le emozioni in modo socialmente accettabile e contenere l’impulsività.

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Trattamento psicologico dell’insonnia

L’insonnia, che sia di natura transitoria oppure cronica, colpisce un numero molto elevato di persone: probabilmente almeno la metà della popolazione italiana ha avuto almeno una volta difficoltà passeggere o occasionali di insonnia, mentre un 10% soffre costantemente o per lunghi periodi di difficoltà di sonno.

Alcuni periodi della vita possono provocare difficoltà transitorie del sonno, anche conseguenti a condizioni mediche (come la menopausa per le donne, la nascita di un figlio, dolori articolari o postoperatori), o psicologiche (preoccupazioni e stress legati a lutti, divorzi, conflittualità accese, problemi economi). In genere questa condizione evoca un quadro di insonnia transitoria

In tali casi è bene che le persone si rivolgano al medico di famiglia o allo specialista per valutare l’opportunità di risolvere il problema di sonno attraverso una cura farmacologica mirata al problema.

Avviene però che in molte persone il problema persista, nonostante i farmaci, e un periodo transitorio si cronicizzi in un disturbo duraturo. Lunghi periodi di difficoltà (più di tre mesi, come indicato nel DSM-5) a prendere o a mantenere il sonno, oppure un sonno frammentato e insoddisfacente che causa stanchezza, irritabilità dell’umore o difficoltà di concentrazione, potrebbero far pensare ad una diagnosi di insonnia cronica.

Secondo Spielman ciò avviene per i seguenti motivi (modello delle tre P, 1986): accanto ai fattori precipitanti descritti nell’insonnia transitoria, si rintracciano fattori predisponenti, come la familiarità all’insonnia, a cui si aggiungono anche dei comportamenti o delle convinzioni che sono perpetuanti il disturbo. Proprio su queste ultime si può agire per ridurre gli effetti dell’insonnia e migliorare la qualità e la quantità del sonno.

La condizione duratura di sonno inefficiente o non ristoratore può produrre convinzioni negative rispetto alla propria capacità di dormire, che comportano ansia, pensieri ricorrenti e stressanti circa il sonno che non arriva, preoccupazioni circa la inefficienza diurna legata al proprio sonno che non fanno che peggiorare le conseguenze dell’insonnia.

Talvolta le persone mettono i atto comportamenti che peggiorano l’insonnia, in modo inconsapevole. Recuperare il sonno con sonnellini diurni, utilizzare cellulari o apparecchi elettronici prima di addormentarsi, andare a letto molto presto per “recuperare”il sonno, bere alcolici per addormentarsi sono tutti rimedi che alterano il regolare ciclo sonno veglia e quindi perpetuano il disturbo del sonno.

Quando le strategie messe in atto non funzionano è utile rivolgersi anche ad uno psicologo in grado di evidenziare e correggere questi atteggiamenti cognitivi e comportamentali per migliorare la qualità del sonno.

Il protocollo CBT-I (intervento cognitivo comportamentale) è un metodo di intervento sull’insonnia psico-fisiologica che mostra sperimentalmente buoni risultati (cfr. Devoto, A; Violani C. 2009.“Curare l’insonnia senza farmaci” ed. Carocci Faber edizioni) e prevede una prima fase di valutazione e identificazione del tipo di difficoltà di sonno, in circa due sedute, seguita da circa cinque incontri di trattamento in cui le convinzioni negative e i comportamenti perpetuanti vengono sostituiti da strategie più funzionali per favorire un sonno di qualità.

 

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